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La misurazione de ltempo


(in queste pagine il termine "accellerazioni" è scritta con la "doppia elle", per distinguere l'accellerazione a=dv/ds qui trattata, dall'accelerazione a=d2s/dt2 della fisica convenzionale)





Per misurate il Tempo, l'Uomo non ha altre possibilità se non quella di misurare un intervallo di Tempo, utilizzando una apparecchiatura (l'orologio) che si basa sul rilevamento del cambiamento di stato di un elemento, rispetto ad una memoria della sua condizione iniziale.
Per stato, intendo la condizione di stabilità strutturale e funzionale dell'insieme elettro-chimico-fisico della molecola di una sostanza, in un determinato ambiente.
Per memoria (oltre a quella umana) intendo ogni sistema capace di una sua condizione iniziale di stabilità e dotato della proprietà rievocativa di ritornare in tale condizione quando siano cessate le sollecitazioni esterne che ne abbiano modificato la condizione iniziale stessa.

Ciò premesso, direi che un orologio può essere costituito:
1) dal corpo umano ("orologio biologico"), basato sulla capacità rievocativa della memoria umana; esso ha la caratteristica della soggettività individuale del funzionamento ed è quindi privo della oggettività delle misurazioni, tali da renderle univoche per qualsiasi Uomo.
2) da qualsiasi meccanismo basato sulla memoria costituita da un elemento materiale in cui il fenomeno di isteresi sia trascurabile rispetto alle grandezze di misura in gioco e che abbia la capacità rievocativa di ripristinare il suo stato di equilibrio iniziale, quando questo sia stato modificato dall'esterno.
Tale è ad esempio il comportamento della molla dell'orologio che ha la capacità di mantenere la memoria del suo stato di deformazione iniziale e vi ritorna con una isteresi trascurabile, dopo essere stata sottoposta a tensione meccanica della sua struttura molecolare interna.
Oppure quello del diapason o del quarzo che, sollecitati elettromagneticamente, oscillano attorno al loro stato di equilibrio iniziale (effetto della proprietà di memoria di stato).

Considerate queste premesse, vengo al nocciolo della questione.

  • Cerchiamo di scoprire se il Tempo misurato attraverso gli orologi possieda una propria identità dimensionale autonoma, caratterizzabile come dimensione fisica a sè stante, distinta e separata dalle altre dimensioni fisiche ed in quanto tale direttamente misurabile in modo unidimensionale ed autonomo al pari dello spazio, ad esempio, senza quindi la mediazione di formule matematiche che coinvolgano altre dimensioni fisiche.


Esaminiamo dunque come l'Uomo misura il Tempo.

L'interrogativo che mi pongo è il seguente:
siamo sicuri di aver definito in modo corretto, da un punto di vista strettamente dimensionale, l'unità di Tempo, il suo relativo campione di unità di misura e di essere capaci di misurarlo in modo significativo, cioè di misurare la dimensione temporale concretamente nella sua natura fisica?
Intendo con questo domandarmi: "siamo noi in grado di fabbricare un campione di unità di misura unidimensionale di Tempo e di depositarlo insieme agli altri campioni concreti di unità di misura della Fisica? (metro, kilo, ecc.)"

Sono consapevole che noi oggi disponiamo di frequenze campione basate sull'orologio atomico (cesio 133) da cui si ottengono misure accuratissime, ma la mia domanda consiste appunto nella valutazione di come si effettuino tali misurazioni delle frequenze e quanto esse possano costituire l'autentica espressione dello scorrere del Tempo, oltrechè la sua concreta misurazione diretta.

Per definire ad esempio, l'unità di spazio, noi schematicamente utilizziamo un pezzetto di spazio delimitandolo attraverso la fabbricazione di un elemento di materiale, lo "battezziamo" e lo chiamiamo metro, cercando fra tutti i materiali quello più refrattario ad ogni forma di modificazione, e lo depositiamo come nostro riferimento campione per l'unità di misura lineare dello spazio.
Analizziamo ora come facciamo per misurare l'intervallo di Tempo.
Noi in realtà non facciamo altro che misurare una velocità di spostamento o di cambiamento di stato di un elemento materiale, che abbia la caratteristica fisica (memoria propria dello stato iniziale) di ritornare costantemente al punto iniziale di spostamento o stato iniziale.
Ciò è evidente, ad esempio, quando si misura l'intervallo di Tempo attraverso la velocità angolare costante della lancetta dell'orologio, utilizzando la memoria di stato di un materiale (la molla, ad esempio), che nient'altro è se non la capacità di un elemento metallico di ritornare al proprio identico stato di deformazione iniziale, tenuta in debito conto la isteresi propria di quel materiale.
Che si usi la clessidra (velocità di riempimento di un volume prefissato) la molla dell'orologio meccanico (velocità di cambiamento di stato del metallo della molla, collegata alla velocità angolare costante della lancetta dell'orologio, pari a 24 volte la velocità angolare di rotazione della terra sul suo asse) l'orologio atomico, che misura la frequenza (periodi di radiazione) e quindi la velocità della vibrazione atomica corrispondente alla transizione fra due livelli "hyperfine" del "ground state" di un atomo di cesio 133 (differenza di stato nella configurazione atomica o molecolare della materia) oppure la meridiana (attraverso il rilevamento della velocità apparente del sole, misurata analogicamente attraverso la velocità di spostamento dell'ombra proiettata dall'asta della meridiana sulla parete) siamo sempre al punto che l'unica autentica misura che effettuiamo è sempre solo quella di una velocità in relazione a degli spostamenti nello spazio o a dei mutamenti di stato di una materia, dotata della proprietà di memoria del proprio stato iniziale.
Dire ad esempio, utilizzando la dimensione Tempo in modo convenzionale, che il sole si sposta (apparentemente) dalla tale posizione del cielo a quell'altra posizione in un'ora, significa infatti solamente aver individuato, misurato e quantificato il moto (apparente) del sole attorno alla terra attraverso la sua velocità apparente, lungo l'intervallo dell'arco spaziale pari ad un angolo di 15 gradi.
Quando quindi crediamo di misurare il Tempo, osservando lo spostamento spaziale apparente del sole ed affermiamo di aver misurato il Tempo di "un'ora", in realtà abbiamo solamente misurato la velocità apparente del sole lungo un certo arco di spazio celeste ed esprimiamo quindi, dimensionalmente, una velocità poichè essendo fissi gli spazi percorsi misuriamo lo scorrere del tempo nella sua velocità di scorrimento che rileviamo essere costante essendo costante, in prima approssimazione, la velocità di rotazione della terra attorno alla proprio asse.
E così di seguito per ogni altra misura del Tempo.
Dire che la clessidra di date dimensioni si svuota in un'ora, significa fissare una determinata velocità costante del suo svuotamento, ottenuta dimensionando opportunamente il volume del materiale che passa attraverso il collo della clessidra, la cui sezione è fissata in funzione della velocità costante di svuotamento stesso.
Identico criterio per ogni altra metodologia di misurazione del Tempo:
si otterrà sempre che misurare un intervallo di Tempo significa, dimensionalmente, misurare una velocità!
L'Uomo quindi nel misurare la dimensione fisica del Tempo (ma quale è la nozione del Tempo? Esiste un concetto di Tempo?) di fatto si ritrova sempre a misurare un moto, quello dello scorrere del tempo attraverso la velocità di scorrimento di un moto.
Potrebbe quindi essere vera, in concreto, l'ipotesi dimensionale:

  • Tempo = Velocità

(leggesi: dimensione fisica "Tempo" coincidente con la dimensione fisica "Velocità")
e conseguentemente, da un punto di vista dimensionale, il Tempo considerato nella fisica classica risultante dalla relazione matematica fra 3 dimensioni fisiche distinte e diverse fra di loro vincolate dalla definizione matematica T=S/V, potrebbe non esistere concretamente e non essere riscontrabile in natura attraverso una sua propria autonoma identità dimensionale, dal punto di vista di costituire una dimensione fisica concretamente a sè stante, distinta ed indipendente da ogni altra dimensione fisica.
Il "Tempo" così come invece risulta identificato dalla formula matematica convenzionale T=S/V, potrebbe dunque anche essere fittizia, frutto solamente di una nostra costruzione concettuale multidimensionale e quindi priva di una sua propria autonoma, separata indipendente ed esclusiva identità dimensionale, impossibile quindi da trattare e da studiare a sè stante, separatamente da ogni altra dimensione fisica, come si potrebbe invece fare con una entità unidimensionale che meglio si presterebbe ad essere assunta quale dimensione fisica posta alla base della scienza della dinamica, in quanto consentirebbe di costruire, partendo da una caratteristica monodimensionale, altre grandezze e dimensioni fisiche multidimensionali a loro volta più complesse.
La dimensione fisica del Tempo così come essa viene definita nella Fisica convenzionale ed assunta come unità di misura, è invece già in partenza essa stessa una grandezza multidimensionale di tipo complesso.

La conseguenza dell'ipotesi dimensionale Tempo = Moto = Velocità consiste nella generazione di un modello di rappresentazione della realtà non più basato sul sistema di riferimento "spazio-tempo" ma su un nuovo sistema di riferimento "spazio-velocità" che ho denominato "continuum delle accellerazioni", interpretato come la somma di due sistemi di riferimento con le due origini coincidenti: quello classico spaziale considerato, dal punto di vista dimensionale, "monodimensionale" con tre variabili O(x,y,z), più quello costituito dalle velocità, anch'esso monodimensionale ad una sola variabile, che chiameremo O(v).
Il "continuum delle accellerazioni" spazio-velocità è dunque un modello bidimensionale di rappresentazione della realtà a 4 variabili.
La scelta della luce (il raggio di luce, ad esempio un raggio laser) come campione fisico e concreto di unità di misura delle velocità, mi pare appropriata in quanto essa possiede una velocità costante ed invariante in tutto l'universo ed indipendente non solo dalle altre dimensioni fisiche esistenti in natura, ma anche dal sistema di  riferimento adottato.
Il raggio di luce quale campione di unità di misura delle velocità, può quindi agevolmente essere utilizzato concretamente ovunque nell'universo, senza sottostare agli effetti delle suposte contrazioni e/o dilatazioni relativistiche in presenza di moti la cui velocità sia prossima a quella del raggio di luce stesso.
In questo modo utilizzando il raggio di luce quale unità di misura delle velocità, possiamo disporre di un campione concreto di unità di misura la cui identificazione, constatabilità e facile reperibilità in natura è pari a quella del metro, l'unità di misura dello spazio lineare.
Inoltre poiché è opportuno considerare dei sottomultipli della velocità della luce per descrivere i fenomeni collegati agli eventi umani, come indicazione esemplificativa ma non esaustiva delle possibilità di identificare un sottomultiplo della velocità di un raggio di luce nel modo più conveniente ed opportuno, ho indicato il

  • metrolux (mx) quantificandolo un trecentomilionesimo di "c" (velocità del raggio di luce nel vuoto)

equivalente alla velocità media con cui una persona adulta procede camminando normalmente.

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